La Señora Aurelia dice che in tutta Oaxaca di Aurelie ne esistono solo tre: lei, la sua compagna di scuola e l’Aurelia guardiana del cimitero.
La nostra Aurelia è corta e vispa, occulta l’età nei capelli tinti di nero e quando parla allunga le parole al cielo (<siiiiiiiiiii, holaaaa, hace mucho calooor hoooy!>). Ha tre chiuhuhua tra i piedi, che la seguono come mosche. Nel suo negozio c’è di tutto: bambole, sigarette, crocifissi, formaggi, patatine, tonno, diavolerie messicane. Quando facciamo la spesa, tira la somma sulla mano con una penna biro blu, senza sbagliare un colpo.
Verso sera, quando passiamo da lei sulla via di casa, le piace raccontarci le antiche leggende di Oaxaca. A volte le mima, marciando avanti e indietro, tutta concentrata e misteriosa. E il finale, che gran trionfo! Apre le braccia, fa un inchino, allunga il viso tra le sbarre e aspetta con gli occhi in fiamme il nostro applauso. La storia che preferisco è quella della mujer blanca, una donna fantasma che, bianca come un cencio, s’aggira nel quartiere a mettere spavento. La Señora Aurelia giura, facendosi il segno della croce, di averla vista una notte e quando lo svela le prende un gran scossone. Si sentiva più sicura quando a Oaxaca non c’era l’elettricità e c’erano i gendarmi che, in sella agli asini e con le lampade ad olio, gridavano nella piazza: <Es medianoche y a Oaxaca todo bien!>.
Dietro le sbarre di ferro, protetta nel suo tempio come una monaca, dalle 10 di mattina alle 11 di sera, sorride devota a Gesù e al lavoro da quando aveva sei anni. Seduta su una sedia, scambia prodotti e battute con i clienti, e nelle giornate più lunghe, cuce Bugs Bunny e principesse su dei cuscini bianchi che poi appende al soffitto.
Mai un sospiro, mai un lamento. Nessun tentativo di fuga da Oaxaca. La Señora Aurelia vive felice senza le lusinghe del mondo perché non teme, in alcun modo, il passare del tempo.